Prima sezione
Emendamento dei guasti
dovendo noi trincerarci solo per aprire qualche
vuoto ma intendiamoci
sul vuoto: aprire,
aprire dov’è il solido
dell’accadere
è questo intrufolarsi nel vivo di ciò che segue e
farci
un punto
d’onore l’avvertire in quel trambusto il
presente
ti dissi:
respira respira e intendevo a
quarant’
anni
qualcosa dovrà pur significare questo liberare il
tavolo questo voltare
le spalle senza acredine per sentire la schiena e
caldo finalmente
l’addome
aprire dov’è il solido è così che mi
sono diverso:
finché non chiesi alla testa di svuotarsi
sottovoce di farsi calma
per sola ingestione di vuoto
da ora in poi non
scriverò
più saggi starò attento a non confondere quadro e
cornice e a non far voce
grossa a non gonfiare il petto a dire mentre
giustappunto sono caduto
in un buco se affondi solo un po’ il piede già
comincia a precipitare dentro tutta la sabbia
chissà perché viene così
naturale il fango
a faccia giù a darci con i denti a prenderne a
pezzi: quelli che da soli
si fanno male a due a due a cinque con i morsi a
cento con i pezzi
in bocca
e giù
nella pece nel ghiaccio a testa in giù occhi
cuciti bocche sconnesse con solo
la voglia di far male per non più
sentire
anche a me capita di strapparmi i capelli e dare
un pugno sullo stipite
della porta per poi stendermi col sangue alla
testa che è sempre auto
lesionista odiare chi si ama e il male è che dopo
l’esplosione lo senti
ingombrante il biagiocepollaro non sapevi dove
metterlo e allora l’hai
scagliato
contro il muro il cosoversificante il petardo non
più loquace
ma poeta era quello che sentiva e da lì
parole chissà questa alchimia
a trasformare
umana merda in oro quando se qualcosa si trasforma
è comunque cosa
dell’intestino se in bene è salutare e il corpo va
leggero e meglio reagisce
alle ingiurie
se no il piombo ci resta attaccato con le uova
che attraverso
non ci passa neanche il neutrino che ogni giorno
da parte
a parte
trafigge la terra
appunto
da ora in poi non scriverò più saggi
a chi per chi e dentro cosa?
i nomi dentro intorno per cosa?
le parole neanche più
oblique ricadono verso la terra neanche di
striscio è finito è finito il tempo
dei nomi
e finalmente posso iniziare a parlare nel mezzo
della fine delle parole iniziamo
a distinguere e allora l’energia sale dai piedi e
da lì alle gambe fino alla vita
così talvolta viene dolce
la saliva
in bocca
e la sera è calma dicendo pioggia
e la calma sale dai piedi chè va nutrita
l’intelligenza
con la calma e allora viene pioggia
e tanta ne venne quando ti dissi:
respira respira e intendevo a
quarant’
anni
non può passare inosservato questo maleficio
dell’occidente né si potrà
più credere in un nuovo universale diluvio si
sbranano non si sbranano
si amano anche
ed è che non c’è tempo da prendere rincorse a
beccare stelle
della speranza è roba che per forza deve essere a
portata ci devi
andare piano
con la speranza non basta una cappella sistina il
passaggio
dato nella tormenta e neanche il coraggio di
rischiare piccolo
destino
non riusciremo mai a fare come le api e dicono che
quelle e simili saranno
a coprire distanze i milioni di anni non noi che
l’essenziale per sopravvivere
nel tempo
ignoriamo
piove non piove un po’di sabbia sui vetri dal
deserto del resto
spirante del mondo piove non piove qualche naso
schiacciato
contro le finestre
ci deve essere un altro modo del bene ci deve
essere un altro modo
per far defluire tutta quest’acqua c’è un inizio
per ogni inizio
nella storia il bene non ha inizio il bene è
altrove
1998
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lasciali dire
lascia lasciali dire curvarsi
invecchiare lascia
che passioni di un tempo
nel
tempo si facciano
cancrene:
non è così non è così che qualcuno
non può
morire
piano piano dell’animale agitato su e giù per la
parete
con l’arte di non farsi vedere fatta in milioni
di anni
per tirar su la specie
non resta che
il guscio
e avrebbe dovuto mutare ancora
vincere in debolezza in coraggio
di cambiare
la bellezza bruciata non serve a nessuno lo studio
matto
e disperato è follia e disperazione: le cose
non le puoi ingannare con gioco di parole devi
stare
al gioco delle cose
e allora
ferma il mondo e ringrazia la palla di girare con
giusta
inclinazione sull’asse
e ringrazia la
luna che di quattro
centimetri
all’anno si allontana
fu quando decisi di perdere colpi che ho
cominciato
davvero a girare: il tempo è lento il tempo è un
lago
e prende avvio
da ogni punto e cominciai col non rispondere col
dire
di mia iniziativa aprendo innanzi
tutto il campo del discorso
e così scoprii che il campo è lento che il campo è
lago
e prende avvio da ogni ramo da ogni detto e scoria
sparsi
doveva essere così nella preistoria: l’aria
limpidissima
rumori
spaventosi e inospitali ma era chiaro
dall’alba al
tramonto
doveva così nella preistoria da giovane
muove il fiuto ma non regge
la semplicità né due
parole a dire l’essenziale
allora si ricama e uno
ha l’illusione di deviare il corso
strappando di sé
il nome in un libro di storia fatto
paragrafo: quando il racconto è tutto
la memoria al dunque è sequenza
di pose
lascia lasciali dire irrigidirsi
penare
a loro
non importa
del piacere
perché davvero
questa
è una cosa complicata: pensa, secoli e secoli
perché un miliardo
di persone non possano bere acqua che non ti fa
morire e ti viene
quasi da ridere se li pensi in cravatta telefonino
indici fluttuanti
di borsa: ma anche eichmann era sempre elegante e
aveva confidenti
tra i sionisti
lo dice chiaro al processo si era dato da fare per
trovare posto
agli ebrei solo che bufala trovata si chiamava
madagascar: cioè
cinque milioni di persone da trasportare per tutta
l’africa: anche lui
cercava modo compatibile con lo sviluppo ci
credeva anche perché
fino ad allora
aveva fatto a percentuale scontento il
rappresentante: la storia
non si ripete mai
è la stessa
storia che
continua
lascia
lasciali dire
1998
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l’ho vista ancora
l’ho vista ancora distesa la
linea bella e dritta
del mare e lo stupore pensando
al vivo e non
ostante confusione immessa
dall’odio dall’olio nostro
bisogna solo
dimenticare staccare d’un colpo
la spina
vent’anni a mettere mattoni a credere edificare
fosse aggiungere
sommità vent’anni dentro
l’idea
dell’alto e del basso a misurare il fatto
col da fare
cosa faccio con linea dritta che sfodera onde apre
e chiude
pagine
apre
e chiude
questo denso di tenere molecole che s’affinano
affinano fino ad essere più
leggere
dell’aria
così immagino un abbraccio e dico bisogna
stabilizzare questa intensità
di ioni farne una splendida abitudine come la
calda quiete del nucleo
della terra tutto fuoco e metallo tutta lentezza
di rotazione perché sopra
ci sia erba ed acqua e noi a chiederci ancora se
quello che c’è sopra la terra
sia cosa buona
vent’anni a mettere mattoni a credere edificare
fosse aggiungere
non diminuire
vent’anni perso nell’attuale a simulare storia
l’intreccio di miserie
senza presente che chiamano attività intellettuale
li vedi anche tu
con in faccia
scritto il terrore di sparire e l’illusion di
farcela a scampare per sola
malignità
e non dovrebbe non dovrebbe esserci ancora tanta
rabbia
che ogni rottura fa lo sgambetto al flusso
di comprensione cosa ottunde cosa occlude
in troppe
sere è come tornare a zero
il gatto che
sul ramo avanti
e indietro non si fida
a saltare il millepiedi che ci pensa al
prima
e al dopo
e non fa più un passo
la volontà non c’entra e non cresce
alla fine
sarà come un riflesso distratto anche per noi
il bene
e quello che invece si chiedeva da loro –da noi-
era
aver attraversato
una volta per tutte deciso di scendere come
l’acqua fa
per il pendio
verso il basso
non di star a galla comunque
chi s’aggrappa alla carcassa dell’ala
chi alla tavola che una volta fu nel salone delle
feste piace così
tanto l’idea del naufragio
che parla di loro –di noi- in un giorno qualsiasi
fermi al semaforo
tornando dal lavoro la chiglia immensa e ribaltata
le luci all’incontrario
malconci poggiati su quello che una volta era il
soffitto
ma poi s’ingrana e il mare torna a stare sotto
come un affare
d’agenzia
di viaggio
e si tratta di diminuire
farsi
sorgente lasciar perdere andare
per tornare e smuovere acqua
tutta quell’acqua che non cresce e non si perde e
vuole
abbattersi farsi muro e schiuma per poi calma
mente farsi indietro infinitamente
ritirarsi
1998
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per
ogni giorno
dovrei dire anch’io a quarant’anni ciò che a venti
non si poteva dire chè ti viene naturale
all’inizio solo
quello che hai sentito dire il resto
che conta
nessuno te lo dice ci devi
sbattere per poi scoprire
che anche un applauso ti porta
fuori
strada che debole
è la via
e veramente oscura e chiesi
come fare
ad avere mente
ordinaria
sale la collera
lasciando indietro la testa
sale
per visceri aggrovigliate e muove una specie
di voce che fa della voce
grugnito
e dormendo si fa avanti la preistoria
io ci vorrei parlare
col rettile cervello non è male in lui gli fa male
solo il silenzio
ma come fare ordinaria
la mente e la domanda
su solco sbagliato
che non c’è solco né pista che non c’è disco
su cui girare e nulla gira
intorno né si muove a spirale non lo puoi
prevedere si muove
e basta
che il bene non è fatto
di volontà la storia che uno
decide
delle sue azioni sembra davvero se s’impegna
trattiene la mano non preme il pulsante ci
dovrebbe essere
sempre rosso
telefono che puoi fare scoppiare la bomba dicendo
tra venti
minuti arrivano missili hai giusto il tempo di
armare
e forse spedirli da questa parte
tutta la vita a cercare di vivere
dentro
il giorno
è strano come crescendo
o invecchiando
è strano
come si vada dal grande
presunto al piccolo
come colui che chiese:
maestro, e ora che devo fare di tutto
questo
vuoto?
e il maestro rispose:
gettalo via
oppure
fallo.
che il vuoto
non è veramente vuoto finchè lo tieni in mano con
le mani
a coppa
allora gettalo
via che non ti serve
a niente che è ancora
qualcosa
e chiesi
come questo s’illumini e che il vivido
dello scorcio in un’ora
della casa
o la confusione al bar per chi paga
si faccia vivido come insomma il vivo
abbia luce
intanto continuo anche in pieno giorno a fare
buio
1998
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1999
si va avanti vado avanti
? non so
che voglia dire ma so che molto ho dimenticato
tanto
da non aver nulla da dire neanche un colpo
di telefono
a capodanno per gli auguri al punto d’aver
creduto
senza panico perduta con i numeri la vecchia
agenda
chi c’è mi viene
a mente
ci sarebbe nel bisogno e nella distrazione
non scompare
ecco forse un po’ ho lasciato andare
le persone e per questo
le cose che ci sono non devo ricordarle
in un appunto
vado avanti ?
indietro
se
ancora fibrillo ancora per lo più mi perdo e c’è
sempre un di troppo, un di troppo poco, c’è sempre
insomma
la vecchia ansia di perfezione l’occhio che valuta
il successo dell’azione
anche se è proprio l’azione che vorrei disfare
la vita intanto pare che non basti per sé sola che
sia solo
una risorsa muta da destinare a qualcosa che vale
più di lei e infatti
sacrificano, costano come quando si dice:
è costata quaranta milioni di vite, quelle
che si avvitano ingoiate
dalle statistiche e vite
che si danno come ti ho dato tutta
la mia vita
o come munch vecchio che dice:
all’arte ho dato
tutta la vita ora è l’arte che dà
a me
vite consegnate ad una missione dove si vince
o si perde vite sportive da primati
appunto
da primate.
d’altra parte trentamila anni è troppo poco per
giudicare la specie neanche il tempo
di ambientarsi
fin qui i primi
tentativi fin qui testate test di mondiali
precoci civiltà
sopraffazioni
a fronte delle quali gli antibiotici il radar
l’aspirina un notevole
allungamento delle speranze
di vita
non importa cosa
poi ci fai se stirata a morsi e palestra forse
già
bionica eugenetica
come nel dialogo di platone il comandante
della nave modesto a trasportare
illesi i suoi passeggeri perché lui non poteva
sapere se per tutti era bene
la vita
se qualcuno in cuor suo diverso
non avrebbe voluto naufragio
d’un colpo e non per sua colpa
andare
a picco
e poi vite evolute che sono quasi sempre dove si
trovano
come ieri con pino ed andrea nel bar
dell’immanenza
globali economie contro i conti della spesa
male è la sbornia cerebrale bene è quella specie
di pace nel mezzo del trambusto forse anche la
breve
capacità di amare di invecchiare nell’amore
il discorso è scivolato subito al fatto che la
trappola
dell’azione è per lo più non rispondere
a bisogno
che anche ad esser contro t’impigli nell’inganno
che il difficile è proprio stare
dove sei e muoverti
nella piena
immobilità
ma questo poi dissi è facile
con le parole.
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dopo un anno
pungeva brezza marina allo svoltare
di una strada
andati
compatti paesaggi sfilacciati d’un colpo
dalla corsa
dell’auto
non dovrei tanta ferocia agli amici di un tempo:
dopotutto ci si dava
da fare
anche quella è una strada se la via
è l’unica
via
per sette anni col cuore non consentì né
affermazione né negazione: ecco
troppo ho affermato e negato troppo distinto e
contrapposto e troppo
sono dentro ancora a quel viluppo
amelia rosselli mi disse due anni prima di
gettarsi nel vuoto che mi spettava
isolamento
e grande lavoro
che tutto quel cianciare era portato
di gioventù e imperizia
che la faccenda era davvero più dura non ho mai
capito
perché mi amasse
forse perché coprendola con plaid di
fortuna sul gelido aereo avevo detto che perfino
nel nostro mestiere
c’è cuore
il fatto è che sono nuovo
di queste parti ancora solo per qualche minuto
scevro
d’ansia il resto del tempo è ancora tutto
imballato nello stesso
modo come appunto in un trasloco
e oggi mariano dice che a lui è capitato
di vivere nel tempo che una speranza durata
duecento
anni
finisce e inquadra
anche il resto delle perdute
battaglie
in questa cornice e giunge così lontano come se
diderot
in persona avesse gettato
la bomba
per farla esplodere davanti ai nostri piedi di
fine
millennio e corsa
ma poi di cosa è fatta una storica
speranza
diciamo ci fu grande scommessa nell’ottobre
del diciassette che c’era di tutto e il contrario
che poi ha prevalso
quello che a noi rimase non era quell’ottobre ché
tutto
era già finito
prima dell’anno della nostra nascita
ciò che mi divide da lui è questo credere che la
storia
sia compatta speranza o collettiva disperazione:
non possiamo sapere
come è la cosa nell’insieme
di queste cose non bisognerebbe neanche parlare ma
allora di cosa
ha senso parlare
per sette anni non consentire col cuore
all’affermazione o alla negazione
ritrovarsi ad agire
più dentro
più addentro del mondo e dopo
aver molto dimenticato
allora soltanto
uscire
1999
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superstringhe
le chiamano superstringhe al di sotto anche della
più piccola
particella e sarebbero a dieci
dimensioni
come nastri aggrovigliati tendenti
all’unità
perché l’universo da incredibile voglia
di unità poi decade
e forma
cose
bottiglia bicchiere barattolo di
latta la tazza
di coccio come ancora si conservano
a Bologna
nello studio di Morandi
ma noi dimensioni tre
abbiamo e sono già tante
da farci spersi
e anche se la quarta
tentiamo neanche posso immaginarla
ché contiene la vita mille
altre ma non contano
le tante
e neanche la sola
che uno crede di confezionare con o senza
il fiocco
ormai telefona solo ai fratelli una volta
alla settimana
quando il tempo è orizzontale
non c’è sorvolo che tenga le vere
cose non le puoi raggirare: Ulisse giocava con i
nomi ma poi
ci voleva proprio la cera
nelle orecchie
o le corde
strette all’albero maestro che neanche lui ci
stava
nel suo tempo
senza barare e rispondere
ad inganno soave
con altro inganno
tipico di chi va
per mare
al mare gli piace stare sul materassino e dare di
tanto
in tanto un colpo
di braccia costeggiando
la deriva
bene: quel che conta è sole e schizzo
freddissimo
dell’acqua
non la direzione
tanto comunque si gira
in tondo
come quando Pericle all’assemblea dovette della
guerra
giustificare i morti
col motivo della fama
e del comfort in ogni casa
ateniese: la violenza
deve inventarsi
comunque delle scuse: la prima è che pacifico
stare non è degno
di uomo
Pericle voleva dire che i suoi sapevano godersi la
vita e all’occorrenza
rinunciarci
il tono è quello di giovanotto intraprendente che
vuol fare meglio
dei padri che a salamina
respinsero lo straniero: non convince la pretesa
disinvoltura che avrebbero avuto a godere e
a morire : sa tanto
di discorso
del potere
invece vorrebbe navigare come dando di tanto
in tanto una bracciata con fissa
la mente
allo sciabordio
dell’acqua
senza far caso
al mare
1999
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emendamento dei guasti
*
quando gli raccontano quel che fanno
a lui
pare di passare
ozioso
il tempo
e non sa che dire
eppure è tutto il giorno preso e deve
perfino scandire bene
le ore.
*
evita di incontrarli. Apparentemente neanche
ci pensa ma poi si scopre che ancora
deve fare molta strada prima
di arrivare a che si dica:
è naturale
che voglia loro
bene.
*
una sera gli venne male
alla testa
e allora sentì che prima
o poi
anche lui sarebbe morto.Forse
già quella sera
lì.
*
aveva cominciato con l’arrendersi
al caso
poi ne aveva preteso
monumento.
*
anni passati fuori
dalla radice
anni in cui il piccolo
era grande
e il grande piccolo.
*
non aveva atteso il comando
d’avvio
impaziente alla partenza al punto
da sbagliare
prima
di partire
e allora gli dissero che non poteva
far tutto da solo
che doveva fidarsi di loro che poi
sarebbe venuto tutto da sé.
*
all’inizio senza un vero giudizio
lasciò che le cose andassero
comunque
ma appena sicuro del successo
volle strafare
e fu perduto.
*
non più lo scritto
a specchiarlo
guardava
altro.
*
deciditi: vuoi la pace qui e ora
senza restrizioni e senza nome
o vuoi che manchi sempre
un poco e un altro anno
perché sia abbastanza.
*
aveva seguito il sentiero
fino ad un certo punto. si disse che era ora
di svoltare ma non lui cambiava
i passi. era la via.
*
anche un’altra volta in un’altra
età gli era capitato di vedere incrociati i due
universi:
lunga è la muta e lento
l’occhio
a mettere a fuoco.
*
avrebbe forse raccolto un giorno
tutti i pezzi
senza pretendere di chiamarli
per nome.
sempre che tra le cose smarrite
e passate non vi fossero anche quelli
e solo se qualcuno fosse arrivato
fin lì
a chiedere.
*
c’era ancora troppo rancore nelle sue parole. Non
sapeva
ancora apprezzare non sapeva ancora delimitare e
contrapporre: in parte
era ancora lì con loro con in mano
la maniglia
della porta non aperta ma neanche chiusa.
Verrà forse il tempo in cui lo sentiranno parlare
in giardino.
O che li penserà parlare in un giardino, dalla
via.
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Seconda sezione
Il piccolo e
il grande
(tra Carlo, il
padre e Carlo, il figlio)
il piccolo chiede perché c’è buio e perché
luce
il grande risponde che la terra tutti noi giriamo
e lentamente
girando
viene buio e luce e poi luce e buio
che non scompare che ogni cosa luminosa ritorna
e varia
più cupa più pioggia e anche
allarme
dell’auto taglia notte e tuono
chiede abbraccio
poi infermiere strattonarono il corpo in una
deposizione
senza pietà
mento
penzolante
sul petto
pigiama
freschissimo
in fretta senza riguardo che proprio a loro
toccava il turno
dell’ora più calda di giugno in fretta a sistemare
il morto
a raccogliere lenzuola e fasce
da bruciare
altrove
non bisognerebbe chiedere alle cose
di parlare tra loro: sono lì
a graffiare per solo attimo il cielo e
l’insieme
non dice più
delle linee della mano: foglia erba tronco
tromba
d’aria
prima gli disse che poteva chiudere
in pace
il conto
che buono era stato
il passaggio
visto da fuori c’era stato di tutto
per una vita
media degli anni
sessanta
dall’ebete
giovinezza alle bombe
il paese fatto colonia comprato prima con pane
di grano e poi in sviluppo e progressione
con frigorifero ascensore auto
e televisione
la storia è cornice troppo grande
e sfilacciata l’omino neanche si vede
nel paesaggio e poi la cornice non è
che un altro quadro l’unico che c’è
fermo
sulla parete
il resto tutto il resto è apparso e sparso
però
che vuol dire visto
da fuori
e media vita
non c’è fuori che tiene ma qualcosa uno
deve pur dire
nell’ultimo commiato: ti sei fatto già piccolo sei
già
labile
ricordo
te ne vai
al tuo minimo termine
che un altro
anno
non avrebbe cambiato ma lui diversa
se l’era immaginata
non così oppressa da minuzie la credeva
solenne e per sola volta
immune
non bisognerebbe chiedere alle cose
di arredare le nostre attese e anzi
non bisognerebbe attendersi niente
dalle cose (calcolando le orbite
delle comete quando vaganti
montagne e città e le infinite
interazioni le magnetiche
passioni della terra)
se anche ora volesse leggergliela lei non avrebbe
tempo
e riposo non avrebbe aria
libera
è così difficile pane guadagnarsi quotidiano o è
un’altra
l’ansia
del tutto pieno
prende contegno il panico una misura e forse
sarà davvero sbucata su di una via
più sua
lui neanche ci prova
ora che tra i due interpone
un grande
vuoto
non bisognerebbe chiedere alle cose
di restare
né puntare ogni porta
che si apre
non bisognerebbe stare dove nulla
è stato
non è monumento:
ecco è questa
la vecchia
abitudine della pietra
ad insistere
con pietra e carta, appunto,
si tratta solo di un momento
intanto
si sente uno che è scampato
col suo panino in sorte buona o saggia
ma poi non è importante che sappia
(non arriva mai
diretta
la vicinanza)
solo che è strano: è come essere ai lati
opposti
della terra
ognuno con ciò che chiama
buio
ognuno con ciò che chiama
luce.
1999
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corso buenos
aires, finestra.
(Il disegno calmo di una finestra basta a colmare la mente)
dal tavolo del bar in notte afosa
senza passione con il tossico
all’angolo della casa in piedi
con tossica: però non mi fare
male
pagando in natura
come si fa a provare quello
che provano come ogni volta che schiaccio
l’insetto il dolore chimico nell’ultimo istante
quando non c’è coscienza
o forse chissà quanti sono
i modi
del sentire
ne abbiamo preso uno
in occidente e qualche altro
di riserva come nel reve che in mille
da ogni luogo giungono in fila di auto sulla
montagna
con tecno alta a provare ad essere fuori
di testa visto che il mondo non cambia
bisogna cominciare ad amare con sé
facendo pace
perché quarant’anni di malinteso
amore sono tanta confusione
bisognerà cominciare con la cura
uno ad uno
uno alla volta
aspirando di ognuno il dolore
un po’ per volta
ed espirando conforto chiarezza rottura dolce
del nero
quarant’anni di restringimenti quando crescere
era soltanto nell’arte degli spilli
per reggere il disegno
di una storia
quarant’anni di nomi che lasciarono a caso
filtrare un po’ di bene
nominando tutto come si copre un cadavere
con un lenzuolo
(non sono molte le cose
importanti ma le poche sono difficili e solo
dopo nel dopo che non lascia più
scampo le vedi andare
mentre ogni giorno
non viste
stavano e stanno)
bisognerà cominciare a non avere paura dei
deboli
confini della mente e del niente
opaco che la racchiude
fino alle nuvole
(cose che sembravano poche
non abbastanza
o non ancora
ora sono infinite e tutte qui
ed ora)
uno ad uno
uno alla volta
un po’ per volta
nei deboli confini della mente
restituendo loro un corpo
di pioggia e di niente
1999
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(sta già sparendo mentre sto fermo
andando)
principiante tra chi ha principiato
se dovesse finire mi troverei
scolpito nell’inizio
di ogni inizio
ma ci fu qualcuno che diminuendo fece della vita
grande
occasione
che non si staccò mai
dall’origine
e fece
della sua casa e degli amici
continuo
esercizio di realtà
ad una certa età si fanno i conti
col tempo
la storia non li fa:
è babele
di racconti interessati
ad incantare folle
a morire
alla signora in tram dicevo che freddo non fa
che è un fatto di testa
il freddo come quasi tutto
il resto
ma lamentarsi e in ogni
cosa vedere il nero
è più forte
insieme si tengono dandosi scopi e mezzi
guardandosi in cagnesco o scimmieschi
applaudendosi:
in grande accade
quello che sul set si vede dei giochi a
premio
l’altra faccia della cuccagna
è foresta
della micragna
vedi per questo
il mondo è così opaco
quando non è truce
e dici :
fa caldo
e dici :
fa freddo
(del padre di anna mi restarono lamette
da barba e fu quella
la prima volta che vidi
nel freddo
la pioggia di sempre suonare
nuova)
dici le stagioni cambiano
che anche il polo magnetico della terra
s’invertirà
che il vulcano ogni vent’anni
puntuale erutta
o forse cinquanta o trecento: c’è piero che da
storico
rintraccia
dai limiti delle terre i contadini alle prese
con la lava
la lava che cancella i muri di cinta e quindi si
litiga
è tua è mia di chi è
questa terra che prima
non c’era
(è tuo è mio di chi è questo pensiero
che prima non c’era)
(i vestiti, le medicine, l’orologio
cose che inutili
restano
ai morti e ai vivi)
(se dovessi finire sarei
all’inizio dell’inizio anche con te)
per questo non importa che a finire
la poesia ho solo
dieci minuti
per questo riuscissi a chiudere come se
l’iniziassi
a telefono ti dicevo che anch’io
sono oggetto strano
ora
per te
che il sesso non ha più vista
che tutto è odorato
e tatto
che è tutto da cominciare, appunto
che nuovamente
ora
davvero non si sa
(che meno male)
1999
TORNA ALL'INDICE
i cieli e la terra sono pieni
della tua gloria
suonava
così nel tempio e mi trovavo lì
per starmene un po’in pace e per vedere come in
altra
lingua si dicesse quel sapore
vivido
di mattina di maggio quando a fondo radendo
la barba un poco ci si rinnova la faccia e si
svuota
come se fosse bastato sapere
del paradiso
perché comune fosse il cammino
(ma non c’è cammino e
quel che può essere comune
non riguarda il paradiso né qualcosa
che si possa progettare) e chi
l’avrebbe detto prima
che non c’era
niente da conquistare che il culmine
era tutto nell’inizio
chi l’avrebbe cercata lì
la gloria
dei cieli e della terra
quando cielo e terra erano solo oggetti
di previsione
come quando prima di partire si vuol sapere
del tempo e se il volo
avrà rinvii o per nebbia
dirottamenti
quando anche andando tutto
come previsto il massimo che ci è dato
è soddisfazione di chi
quotidianamente puntella
il suo stress
come se fosse qualcosa
e non invece
un nulla
fosse stato per me
non sarei mai divenuto: è atto quasi violento
il nuovo
che l’amore
impone e quando ci sei dentro
è arretrare continuo
( resterà nella memoria della figlia
la spiaggia
di Palma
la buca scavando
come da piccola
indaffarata e briosa)
fu allora nell’altrui gloria che vidi
la vita in parte
andata:
che vada!
dedicherò gli anni (se lo sono
e non mesi o minuti)
che avanzano ad addestrarmi
ad essere felice ed aperto
a meritare l’inizio di ciò
che continuamente comincia
(e pensare che uno
crede che l’importante
viene dopo attenta riflessione che il destino
possibile
sia frutto
di elezione)
cancella cancella le tracce
al tuo passaggio
prima che il cuore si
richiuda
prima che normalmente ghiacci
e intanto a quanti
di energia a pacchetti
postali le stelle
senza fretta si parlano in radio
o in luce
si tengono strette
in scambio fitto
fitto di particelle o corde
e dentro questo flusso nella mescolanza
dei tempi infiniti arriva un tempo in cui
l’arte
non ci concede più
di nasconderci
e richiede per sé ciò a cui da sempre crescendo
abbiamo temuto di dover rinunciare: non il verso
imperfetto – che la tecnica si fa quasi
presto ad imparare- ma il verso
gratuito quello già nato per essere ascoltato
tra cielo e terra
le diecimila creature
prima che il
cuore si richiuda
prima che
normalmente ghiacci
tra cielo e terra
parlandosi in radio o in luce
in un continuo di radiazione
cancella le tracce al tuo
passaggio
che consapevole sia la passione
prima che il cuore si richiuda
senza intenzione né progetto prima
che lentezza sia ritardo
prima che
resti solo il guscio
perché l’amore che ci metti
resta
e non si perde
(intonando) i cieli e la terra
l’amore che ci metti qualcuno o qualcosa
(intonando)
son pieni
tra
cielo e terra qualcuno o qualcosa
(intonando)
i cieli e la terra
lo ritroverà
2000
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è così
è così
dicevo
e volevo dire: non può essere altrimenti e non
ha senso
ribellarsi
è così
(è strano come nel tempo siano
cresciuti strati
di menzogna come ci riesca difficile guardare
cose
semplici
semplicemente)
giovanni il biologo dice che più studia virus e
più
sembra miracolo che stiamo
ancora a parlare davanti a bottiglia
di vino mentre invece io ci affondo
dentro: la natura
non è buona non è cattiva è il disegno
che manca: è bello è mostro: è solo
leucocita che scambia proteina
per un’altra
e furioso attacca
sé
ma neanche questo
è
perché la furia è senza pensiero
la chimica è nel fondo ancora
una poesia
di affinità elettiva
è alchimia molecolare ancora metafora
che numero non riduce
come quando l’elettrone si disse nuvola
d’energia
come se potesse esserci cielo
prima del cielo o pioggia prima
che piova
ma di ciò di cui non possiamo
parlare - poveri -
non possiamo neanche tacere
se resta malattia mistero
misteriosa è anche la cura
*
eppure talvolta una voglia
di ringraziare
non qualcuno o qualcosa e forse
non è ringraziamento
piuttosto atto
di integrale realismo tolto il troppo
della speranza e il troppo
poco della paura
averlo tutto intero alla mente
il male
e proprio per questo mentre viene su
il primo respiro al mattino
al primo sorso di tè
rinnovo assenso dicendo ‘si’
ci sto
tremando
ma senza distogliere la mano
dalla tazza
lentamente
fino alla bocca
che non si compia senza di me
che non si compia con ancora me
di mezzo
tra nuvola e cielo
tra particella e campo
*
ogni mattina prego per il piccolo
cuore malato
e dò col pensiero
energia al muscolo ferito chè riprenda
il suo volo:
anche la mia
vita non è più la stessa anche se davvero
la stessa
non è mai stata:
è che ci si abitua
talvolta a dose media
di bene e male fino a che non si rivela
il tempo per quel che è
distesa
dove accade
anche
quello che può
accadere
ci piaccia o no
niente si ripete uguale e l’universo
è troppo grande per farne abitudine
e non dico galassie che ci manca
la materia
giusta per far tornare
il conto
(la chiamano oscura
ma quella che si vede
non è più chiara)
ma la vita
che ogni giorno
si dà scontata
e che si tace pensando all’altro
che manca
come se davvero potesse mancare
qualcosa
ricominciamo dal dolore sempre
per ritrovare tenerezza
e pieno
ricominciamo dal dolore sempre
per traboccare
e quello che era incidente e sfortuna
di statistica
distribuzione
d’un tratto diventa
storia di cieco
vicolo da illuminare
(non è questione morale la menzogna
è l’occidente
intero che fa complici: non fu del vuoto
l’orrore
sin dall’inizio fu
del presente la calma
a non potersi sostenere: è tutta una storia
lunga andata male
come quando categorico
divenne l’imperativo a darsi da fare
come se fare fosse cosa
da darsi)
come se davvero potesse mancare
qualcosa
alla vita
e lo diceva pino all’enoteca: la massima
ambizione delle vita è la vita stessa
*
così madre e bimba si ritrovano illuminate
da luce di televisore
come in ritrovata luce naturale
e ciò che prima stava per noia
ora è promessa
e pura salute
e ciò che prima era importante
ora è futile distrazione e non si tratta
di mattine incrinate allo specchio
trepidando un posto
nel reame
o di ambizione a lungo
coccolata su cui si misurava il fatto
col da fare ma dell’intero modo
di vivere e subordinare affetti
ad interessi
dove non si sa se presunzione
preme più dell’ignoranza e questo
con ostinazione
fino alla vigilia
dell’ora che torcendoci il collo
ci costringe a riconoscere proprio
ignoranza e presunzione
(ch’è difficile sostenere per più
di un secondo
che tra migliaia di correzioni di genetica
informazione una
possa mancare
che non è l’ordine
il senso del messaggio ma rabbercio
continuo dell’errore)
che insomma fino a quel momento
abbiamo urlato contro la pioggia e il fulmine
che fino a quel punto abbiamo imprecato
e provato a ricacciare la grandine
in cielo volendo coi sassi
bucare le nuvole
*
per tutto questo ora in piedi
noi ringraziamo:
per luce di questo mattino che fa verdi
le foglie del parco
per saracinesca del fruttivendolo che si solleva
e per le casse
ricolme di frutta che ancora una volta
intralciano il passaggio
per il risveglio nelle case perché buono
sia il giorno e buoni gli incontri le parole
e i pensieri
per le prime parole degli amanti chè a lungo
resti nei corpi
l’offerta
di sé e fonda sia la dimenticanza
per risa che ancora risuonano nella stanza
per rombo di saracinesche che si sollevano
per vocìo dei bimbi nel parco
per gusto che ci fa baciare e accrescerci
dei frutti della terra
per vino rosso e bianco e per maria
che lo mesce
per tutto questo ora in piedi
insieme ringraziamo
le piante
e in particolare la digitale che aiuta
il moto
del cuore e lo invita
a riprendere il volo
con la madre e la bimba illuminate
da luce di televisore
nella luce di questa mattina di luglio
come in una ritrovata
luce
naturale
noi insieme ringraziamo e così
sia.
2000
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