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BIAGIO CEPOLLARO

                         LAVORO DA FARE 

2002-2005

Testo in html e in pdf

Lavoro da fare in mp3

Postfazione di Florinda Fusco

Letture critiche

Foto

Collaborazioni

 

 

Antologia sonora

      Prologo

      Parte prima,1

      Parte prima,2

      Parte prima, 3

 

 

 

 

NEW  Letture critiche di Lavoro da fare in e-book

Interventi di F.Fusco, J.Galimberti, A.Inglese, F.Marotta, G. Mascitelli, G.Mesa. Dai blog di Nazione indiana, Retroguardia, Liberinversi.

 

 

 

Una mail su Lavoro da fare

A Giuliano Mesa in risposta alla sua Nota di lettura, 2006

 

Carissimo,

grazie delle tue parole che sono sempre 'interne' a ciò che dico perché interne a te e quindi al nostro silenzioso dialogo: la relazione non si aggiunge, costituisce ognuno. E la qualità del dialogo dipende anche dal lavoro che ognuno fa per sé: si conosce perché si riconosce, e alla fine , per riconoscenza.

Come la tua nota evidenzia subito, a differenza di ciò che appariva in Versi Nuovi, ora c'è un senso della relazione con la tradizione letteraria più esplicito e positivo: i grandi autori dell'Occidente possono ancora nutrirci, come sai bene tu che ti rileggi i classici...Da lì sono giunto ad un punto che non è né occidente né oriente ma lavoro per aderire al presente, cosa che hai rilevato e che da tempo fa parte di tua acquisizione profonda.

Presente scarnificato, tendenzialmente senza infingimenti ma anche senza autolesionismo, c'è posto per la gaiezza se ce n'è per un dolore che non si appaga di una metafora per cambiare le carte in tavola...

Certo, non è il Poetico che dà fondamento alla poesia (ne costituisce al massimo orizzonte d'attesa, categoria sociologica), ma è la Poesia che dà fondamento al poetico, dissolvendo di volta in volta ciò che viene considerato tale e suggerendone uno nuovo.

Noi diciamo, credo, comincio davvero a credere, che una cosa è poesia per la qualità dell'esperienza che facciamo e poi ci abituiamo a riconoscere quell'esperienza, quella qualità, fino al punto da codificarla. Come dire che la poesia oggi per me non è un insieme di regole del gioco, o almeno non solo quello, non innanzitutto quello, ma il porre in essere l'invenzione del gioco, lo stupore di vedere formarsi innanzi a sé un altro gioco, come talvolta il bimbo scopre di star giocando con un oggetto che fino ad allora non aveva considerato un gioco.

L'importante comunque è giocare con qualcuno,  è sapersi commuovere , e quindi muovere insieme, termine antico, fino al punto che un altro si metti in gioco, per sua conoscenza, per suo godimento, se vuole, se sa.

La poesia, comincio a credere, credo sempre di più, è un effetto collaterale della qualità della propria umana esperienza ( ciò che manca, ciò che è stato promesso, ciò che non è stato dato, ciò che era lì da sempre) a cui si allude con mezzi inevitabilmente retorici ma al di là di ogni cinismo come di ogni ingenuità. Quindi niente manierismo come niente ingenuo contenutismo.

Ciò che non può essere nominato non sarà nominato.

Ma ciò che possiamo nominare è il nostro lavoro, il nostro gettare ombra e luce sull'accadere degli inizi in cui consistiamo ma che dobbiamo meritare, appunto.

Ciò che non può essere nominato dona il senso ai nostri piccoli nomi...

 

 

 

 

 

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