La poesia di Biagio Cepollaro

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                                  TERZA SEZIONE

 

                                                                       -Que ademandi che ssia dato?

                                                                       -Messer, ch’eo reveia luce,

                                                                        ch’eo pòzza cantare ad voce

                                                                        quello osanna puerile!

 

                                                                                                 Jacopone da Todi

 

                                                    La Vedette

 

 

ilpa strambotta fica

cesca di notte loca

accàvera scolpa diota

 

ilpa mia liciosa ammuca

e in muca assanguo andrizzo

infizzo di là pertugio aschizzo

 

(alla Vedette in contumacia lo Scribiere)

 

i strambilio m’accartoccio

tutto scromato disammorfo

disavverbo affrustrato

virulento accaverato

 

 

e lei allàma lumosa lucrente

inghirlanda dal fremito aguento

 

agevola la tiglia crogliosa

impande la stiva trebonda

 

(soffia così ventando isiosa

como ventando apre la porta)

 

(Scribiere guardava orfico-frumoso

frangendo l’astratto desire in brioccoso

respiro dal televisore)

 

 

apre la porta e sventa varca il minuto

e vien dagli ogli in prima agli ogli

 

posa il frucore l’intaso ch’arrossa e

dal gelo il chiuso dal chiuso smena

 

dice: smenando como a te piace

di me simulacro ti compiace nulla

 

dato che sia uso vero in veritate tocco

ascolta dall’uso il senso usato e scambia

 

(lùmina il neroquadro allo Scribiere

distolto il senso vi riappare

stucca di mani trapassa gli ogli

stricolosa la Vedette tropicciava)

 

chi fregò la bocca il motto d’Amore?

chi adesso purulento giace e

vero eretto assanguato spuma?

 

non più codice diviso insieme

non più trama spartita e sana

ma slogan e frase una frana

 

(la Vedette stapaccia dai capelli a raso

linguazzava l’abiutto cecolaro

mentre Scribiere residuando

abridava folle assordato)

 

 

non so frenare il pianto

                     viene come un vento

è meraviglia è amor è pentimento

                     e non c’è cenere sul pavè

è speme son mille affetti insieme

                     non tessuti e vestimenti

non c’è niente                            sul parquet


 

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Sintagma sperso

 

Donna in te sustanza è la dulenza

e il ferro e il cromo e la pesanza

dell’andare

                                e del venire

dello stare nel chiuso

dello gire

                                per il romore

dello subire

                                la possanza

che occide m’invita ad amanza

mi scioglie suono e verbo

                                m’avverba

al canto e alla speme

                                de rifiorire


 

v’è loco d’amanza?    v’è fòco de notte?

Làbila ogni senso ogni certo ogni stretto

passaggio del Logos imbarba il fiotto

 

(oh como vurria dilicato e liggiero

como dispensiero di pace vurria un vento

ca salvi e Fausto e Laura e Nino

vurria un vento e un’agua e un cèlo

sulla via d’Antonio ca salvi Margherita)


 

donna in te se duplica la vurticanza

e più te mòvi e più chiara la viulenza

che c’ha privato de centro e cèlo

più spersa la strada che ci fa aria

como se fuori fosse vera gioia

 

(oh como dicevi isiosa lunga notte

como t’appaurava il vòto do matino

como sapevi vicina la zampa do mundo)


 

vedi como m’pazzo e sfràvaco il ghiorno

como presto m’accendo e cerco sfocio e

nevrotico inseguo ogni beltà maginìta e

v’attacco libido como fossi tale foco

 

poi mi ritorna e qui si scioglie a gelo

ché ognuno oltre l’abbraccio è vento

ognuno si sforma da ch’era mano e fianco

e l’occhio più non sabe cos’era guardo


 

donna i’ do mundo veco la bassanza

como talpa pendulando mane e sera

tanti ne veco sfatti co visi-buchi

che spauro a tener fissi gli occhi

 

son replicanti e son falsati corpi

son truci blocchi de muscoli giti

per vie a calcolo de guerra e fame

ca non sapendo ruga non sanno amore


 

certo una voce non salva el destrutto

e ognuno se strapazza in suo condotto

i’ ca son scriba sanza vero loco

a te m’arrivolgo quando annotto

e sono enfante per le strade sperso

e sono omo per li occhi e mani scòtto

 

a me la pesanza de la voce ròca

a me la legeranza de prender volo


 

 

perch’i non spero di tornar giammai

in loco ca forse non fu nemmeno e

ch’è solo idea del corpo andato e

idea del paraviso imaginato e

perch’i non spero de riguardare vero

vivendo ché il mostro e il rullo

fanno un sol binario in chesta vita

ove non v’è amanza e rispetto e vera

gioia ca conta sopra tutto lo dinaro

e il cocchio giusto alla salita

perch’i non spero di tornar giammai

dalla tesa salita dalla ròta variopinta

da st’incrocio de strade e de siringhe

dall’affosso de tante empassità

 

ballatetta non saprei ove mandarti

e in tale insolvità cosa augurarti


 

 

 

donna nausea me prende da star luntano

pure chesta ca non pare vita è mundo

mundo          spac   cato

mundo          mul    ti     pli   ca    to

enfuso d’empassità co luccichìo (io

scriba nun saccio che pisci pigliare)


 

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