La poesia di Biagio Cepollaro

Home Up scribt3

 

 

 

In memoria di Cecilia Tammaro 

e Carlo Cepollaro

    PRIMA SEZIONE

                                                                                     ‘O lengua scottiante,

                                                                                       como si stata usante

                                                                                       de farte tanto ennante,

                                                                                       parlar de tale estato?

                                                                                                                          

                                                                                                            Jacopone da Todi

Metro-metrò                                             

 

stravolto il vecio

                             intra ed esce   

como bimbo o tinège

                             schianta limbo

del metrò de schege e

                             spira d’in su l’occhio

la chiassosa

                             forescenza de lumi

e de scudi logi

 

 

vedi como sono rinchiusi i vetri

como il tempo rifugga la sustanza

e la bruta forza grandiosa avanza

 

 

col bianco il ceco

                              scanza e svaga

un altro sbotta

                              sine riso

ca rispondo ugualo

 

ca non c’ho voglia

                              ca lo schifo nero

ripete col tristo faccio

                              il celo

limacciosa donna

                              e ‘mpecorita

                    scende la scala

                               en sua spesa

manco sente

                               effluvio de mela

fannosa e presta

                               s’arritira

 

 

no spira vento

                            che la desta

annotta al video

                            tutta sera

specchio al viso

                            se richiude

non sprime nulla

                            l’abitude

 

 

vedi como sono richiusi i vetri

come il tempo rifugga la sustanza

e la bruta forza grandiosa avanza

 

 

l’altra ‘ngrana

                            la gracchiata

salta al picciolo

                            sbadiglio

tremando dita

                            tocca figlio

ca lo vorrebbe

                            mai uscito

ca non la salva

                            l’assicurata

ca non la salva

                            l’appaciata

ca non la move

                            la figliata

ca non se gode

                            la scopata

 

i’ ca vurria far docia simbianza

e all’affrasar far de miele usanza

mi veco frantumato in una stanza

ca nun succorre né bio né scienza

e all’intorno sulo veco la suffranza

 

 

 

e tale è l’empassità

                             l’insolvità

                                          l’eccità

c’aggio a dire

 

dove andranno a milioni?

da un’ora all’alba. ad accendere la lucente

mescolanza delle sfere. compiteranno i voli

sopra la terra e

nel profondo dei mari. li vedrai capovolti

al voltare dell’emisfero. aggrovigliati

ai cavi del telefono

 

Donna ca m’arivolgo in fellonia

in me puisia s’accende a vita

nel metro purulento

svia l’annotto e l’afasia

scioglie il groppo

                               e così sia

 

ca mi move è Apparizione

seguo pelle e Cunsulazione

ma ferita e scheggia spia

il detto e lo cuntorce e lo smetra lo allunga a dismisura

lo stringe al bianco

lo connette all’insolvenza

 

(tale è l’empassità

                              l’insolvità

                                         l’eccità

che in vita rattrippa lengua

l’assomiglia all’internata

l’accruda all’empazzata

la gela alla monnata)

 

tale e tanta è l’insolvità

c’ammàro e logio vano

strambo l’incunabolo

sciolgo l’afferragliato

sono l’abiutto cecolaro

 

pigiati su scale mobili tentennanti sul metrò

fanno ressa a tutte le entrate della città.

non sono sguardi sono lenze aggrovigliate

ai piedi e frecce da sterile veleno.

non c’è morte né vita spariscono i pesci

dal lago senza rumore

 

 

Donna ca rètore t’addita

ca ti so madre saporita

madre mai tradita

madre mai saputa

 

e avvece v’è ramingo

v’è postringo de tote facultà

v’è gisco crudo e strutto

d’ogni degnità do mundo

 

 

i conti col tempo sono errati. la macchina

si muove anche senza di noi. anche un black

out non sarebbe un ripensamento. e il buio

può esser seme solo se appartiene alla terra

e la terra lo ha perduto.

 

Donna che m’hai colto nel tuo disperso

stranita dal tanto romore

giovanita da ‘mperitura ‘nfanzia

vedi como annottando s’apre scia

e levigato bacio fa iustizia

do mundo

Donna aperta

disserrata

offerta all’isioso iocundo de lengua

al crillo tempestoso c’avvèla e vàgula

ascolta como sognando sogno e dico

 

andrò per corridoi e il saputo

sarà labirinto e caleidoscopio

vengo dall’arsura e il tempo

gioca con il rosso e il giallo

 

il ferro non risponde solo alla ruggine

se battuto si piega alle volùte

e guarda le finestre con le sue dita

e le finestre guardano lui

(come capelli)

 

lengua de sogno ca nun pratico

como foco insperato e luntano

i’ ca son scriba sanza loco

mi veco sintagma sperso

scriba de pesanza

de voce rauca

de chiodo cunficcato

de stilema ossissiunato

de lengua sabutato

 

distruzione profonda l’avventura del nome.

tenerle in vita. quando le sirene quando più fioca

la luce nella clinica. le piazze come avverbi

di tempo e gli occhi mangiavano parole.

 

 

il motto s’è franto da mundo

e la sperienza v’ha mistificato

 

sulo nel letto i’ m’appacio

si sciolgo tua dulenza

 

si participo co resto de core

al sangue assirragliato

 

 

vedi como sono richiusi i vetri

como il tempo rifugga la sustanza

e la bruta forza grandiosa avanza

 

i’ ca vurria far docia simbianza

e all’affrasar far de miele usanza

 

mi veco frantumato in una stanza

ca nun succorre né bio né scienza

e all’intorno sulo veco la suffranza


 

  TORNA ALL'INDICE