La poesia e l'arte di Biagio Cepollaro

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Libri

Biagio Cepollaro, La cognizione del dolore. Otto tele per Gadda, La Camera verde,Roma,2010

 

 

Biagio Cepollaro, Da strato a strato, La Camera verde, Roma,2009

Introduzione di Giovanni Anceschi

 

 

 

 

 

 

 

Biagio Cepollaro, Nel fuoco della scrittura, La Camera verde, Roma, 2008

 

 Da Nel fuoco della scrittura:

C’è la scrittura, ci sono le ‘cose scritte’ e c’è l’atto dello scrivere, il movimento del braccio e della mano nella percezione del contatto con il supporto. E c’è un atto dello scrivere che è un vero e proprio atto sacrificale in cui la parola appena scritta è sin dall’inizio solo una traccia e uno strato della nuova (che magari è la stessa) parola scritta e così, tendenzialmente, all’infinito.

L’atto dello scrivere a questo punto è un fare strato su strato che non è cancellazione ma sedimentazione della traccia. Tale sedimentazione è già immagine e visione: quando ciò che conta non è la sua funzione informativa né quella espressiva ma il fisico esserci, il segno di un’invocazione ripetuta, di un’apertura del cuore, di una speranza.

Quando questo fisico esserci è già struttura compositiva, è già senso al di là del significato.

E’ la danza della parola che come per la danza dei dervisci gira in tondo: non è più importante il corpo che si muove, la figura della danza, ma ciò che di questo movimento resta, la scia di un abbandono estatico. E c’è in questo tipo di danza un‘intenzione cosmologica e cosmogonica, il danzatore, ad esempio, mima il moto dei pianeti muovendosi in senso antiorario sul proprio asse.

Anche l’atto dello scrivere può avere la stessa intenzione quando riporta sul piano l’organizzazione di un suono. Millenni testimoniano questa possibilità. Scrivere dimenticando per poter ancora scrivere, come si ara un terreno, nell’estenuazione dell’andare e del venire, del sorgere e del tramontare.

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Quando la scrittura non è più uno strumento di comunicazione, un codice, un veicolo, quando non è neanche un segno indecifrabile decaduto ad oggetto, diventa materiale di costruzione che ai miei occhi rimanda direttamente alla relazione con il mondo. Il pensiero sulla scrittura ha sempre connesso  i diversi sistemi di codificazione alle cose da dire, raccontare, calcolare. Ma quando uno strumento viene restituito alla sua origine, quando non si proietta più nel passato remoto una mentalità economica che è invece moderna, accade di fare una strana esperienza della scrittura.

Non è vero che questa esperienza ha a che fare solo con l’autoreferenzialità del segno o alla sua concretezza. L’esperienza che ho fatto è di comunicare, attraverso questo fuoco della scrittura, con la nudità fondamentale dello stare al mondo, nudità tanto culturale quanto creaturale.

Da questo punto di vista la storia e la storicità dei segni appaiono come modalità di ricostruzione di un’esperienza collettiva possibile, solo possibile.

Ciò che la storia non ci racconta è il segreto individuale di ogni singola creatura alle prese con i suoi mostri e con le sue speranze.

Una sorta di anteriorità, di lato nascosto, di lato concavo dell’atto dello scrivere che ho la sensazione di ripercorrere facendo questi segni, questi lavori.

E’ una scrittura che spesso ha avuto per me il sapore dell’ex-voto. Anche in questo caso ciò che conta non è la pittografia del gesto di ringraziamento o di implorazione ma l’esperienza del gesto del ringraziare e dell’implorare attraverso una sorta di scrittura oggettuale…

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Le nuove tecnologie ci restituiscono, attraverso la digitalizzazione, la riduzione in numero di immagine, colore, suono, parola…Ci propongono una separazione tra materiale e materia: il materiale con la sua prolissità tattile e la materia come configurazione quasi-ideale di un concetto.

Quando il processo della creazione comincia con la scansione digitale di una superficie precedentemente lavorata e disposta ad entrare nel futuro lavoro estetico, quando il processo della creazione termina con l’intervento ‘a mano’ (con tecnologie precedenti) di questa stessa superficie (ma all’origine vi può anche essere un oggetto tridimensionale), in mezzo e alla fine del processo si sono realizzate due elaborazioni compositive decisive: quella al computer e quella sulla stampata finale.

Alla fine conta il supporto, la reazione del supporto ai due tipi di intervento. Il supporto è la sintesi finale: è la materia che si è configurata a partire dal materiale ma che ha provato, per quanto ha potuto, ad evitarne le prolissità. Il numero caratterizzante il digitale qui non è più semplificazione e appiattimento, né resa alla virtualità, ma semplicemente acquisizione in dialogo di tecnologie più recenti. L’essenziale comunque non è nel materiale, forse non lo è mai stato: l’essenziale è forse qui nell’idea di materia che si riesce ad esprimere.

 

 

 

 

 

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